martedì 23 marzo 2021

Ecco qualche parola su chi era mio nonno

 Mio nonno era quel tipo di persona che definiresti un signore distinto: giacca, cravatta, e il giornale sotto braccio. La sua cifra distintiva erano la barba a punta e il berretto. Elegantissimo in estate con un panama e la camicia a maniche corte, mio nonno era una persona che definiresti distinta, ma capacissimo di sostituire coppola e cravatta con capi più estrosi, perché – diciamocelo – se ne fregava ampiamente di quel che chicchessia avrebbe potuto pensare.

Mio nonno - mi dicono - era una persona un po’ malinconica, ma io non me ne ero mai accorta. Forse con noi nipoti questo lato non è mai emerso? voglio credere che forse stare con noi fosse per lui una tale gioia da spazzare via per un po’ questa malinconia.


Mio nonno amava la musica. Purtroppo io ho imparato a suonare il pianoforte con una mano sola, ci abbiamo provato, ma non avevo orecchio. Io neppure riesco a battere le mani a tempo, lui invece sapeva suonare e comporre. L’unico tratto che rimarrà comune alle nostre mani è il dito indice storto, non saprò mai replicare i suoi gesti sui tasti. Ma ogni volta che sento della musica classica mi sembra quasi di vederlo al pianoforte in salotto, con la luce di taglio che entra dalla finestra, seduto che suona.

Mio nonno era una persona buffa. Aveva quel tipo di ironia intelligente che solo da grandi si può apprezzare davvero… ma se sei solo una bambina nessuna paura! Ti avrebbe comunque fatta ridere a crepapelle facendo finta di mangiarti o di rubarti il naso! (e lui di nasi ne sapeva parecchio!).
Mio nonno sapeva fare il terremoto, cantava “chi è che bussa”, raccontava di “Dante lo scureggiante” e di “Eschilo eschiolo che qui si sofocle, attento agli scalini che sono euripide”.

Mio nonno era la persona più intelligente che io abbia mai conosciuto. Mi ha raccontato che poteva scrivere un testo con entrambe le mani, contemporaneamente (utilissimo se a scuola dovevi far copiare i compagni passando una seconda copia del compito).

Mio nonno sapeva tutto di Dante e Beatrice, di Pirandello, dei miti dell’antica Grecia. Mio nonno mi ha regalato il mondo della letteratura anno dopo anno. Mi ha aperto le porte della “Terra di mezzo”, mi ha fatto conoscere personaggi di cui mi sono perdutamente innamorata - ah Martin Eden! - mi ha spalancato la mente Natale dopo Natale con libri che mi hanno accompagnato dall’adolescenza ad oggi.


Mio nonno era un professore. Da universitaria è stato il mio più grande orgoglio. Non era da tutti poter dire di avere uno nonno “Professore”.
Mio nonno era un’idealista. Una di quelle rare persone che si interessa della cosa pubblica con la sincera speranza di rendere il mondo un posto migliore per tutti.

Mio nonno era la persona più generosa e buona che esistesse. Credo per lui fosse impossibile arrabbiarsi o litigare.

Mio nonno mi ha insegnato la forza della gentilezza. La potevi sentire nelle sue carezze, nelle sue parole, nel suo modo di stare nel mondo. La forza della gentilezza è di piuma e di granito, è ferma e nobile.

Mio nonno per me era un “Opa”. Tutte le cose dette fin qui, infatti, sono niente rispetto al più grande insegnamento che mi ha dato. Nessuna delle sue bellissime qualità vale quanto la sua innata capacità di amare. Vederli insieme ti faceva dire: “è questo che io voglio per me!”. Complicità e scaramucce, cura reciproca e affetto infinito. Serve ironia e pazienza. Tenerezza. Delicatezza. Non si è semplicemente anime gemelle, ci vogliono impegno e tanti piccoli gesti. Anche negli ultimi anni vederlo prendersi cura di Oma, regalarle una rosa per san Valentino, prendersi cura di lei anche quando ormai la sua memoria era sempre più fragile è stata l’incredibile prova tangibile che l’amore vero, eterno, esiste. Io credo all’amore e alla gentilezza perché ho conosciuto lui. Se non avessi visto come si amavano, come si è preso cura di sua moglie finché ha potuto, non ci avrei mai creduto che ci si può amare per sempre.


Opa mi ha insegnato che l’Amore non fa rumore, ma è delicato e forte come la gentilezza.

Quando se ne va una persona amata il cuore si riempie di rimpianto: avrei potuto fare di più, passare più tempo insieme... In questo giorno in cui mi lasci, in cui ci lasci, ho quindi ripensato a Dante. Anche andandotene sei per me insegnante, tu vai avanti e io ti seguo. Spero di poterti somigliare di più, di potermi stupire sempre davanti alla bellezza e alla cultura come te, di poter essere forte e gentile come te. Di amare come te. Ti penso così, come se tu fossi uscito a riveder le stelle.


salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

(Inferno – Canto 34)

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