giovedì 30 ottobre 2008

Il nonno in Somalia

La foto di Vito Cosimo Basile fra i suoi assistiti in Somalia è dei tardi anni Venti. Si era specializzato in malattie tropicali a Bologna ed era stato inviato a Mogadiscio nel 1925. Lì fu scelto dal Duca degli Abruzzi come proprio medico personale e, nel 1928, come medico e naturalista per la spedizione alle sorgenti dello Uebi Scebeli.

mercoledì 29 ottobre 2008

La famiglia Basile al completo. Natale 1912


Non poteva mancare la foto di famiglia fatta a Polignano a Natale del 1912. Papà (ovviamente nonno per i nipoti) si era da poco laureato in medicina a Napoli ed era entrato in Marina secondo il desiderio del papà, nostro nonno (bisnonno per gli altri). In piedi da sinistra: Vito Cosimo, Anna (Annina), Antonio L'Abbate (Totò, marito di Anna), Stanislao (il nonno) Pasqua Modugno (la nonna), Francesco (Franceschino), Vincenzo. Seduti: Ippolita, Lucrezia, Giuseppe (Peppino), Maria (Marietta), Giuseppe (Peppino, figlio di Anna e Antonio, 4 anni). Il ragazzo accanto a Peppino è il più piccolo dei figli di Stanislao Basile e Pasqua Modugno, Pasquale (Pasqualino), allora dodicenne.

martedì 28 ottobre 2008

due mesi di blog

Vedo con piacere che un'idea che mi è venuta quasi per caso tornando a Firenze dopo il matrimonio di Marco, è diventata una piacevole abitudine ed un modo per tenersi in contatto. Per fare riflessioni e per conoscere meglio le persone da cui discendo. Per conoscere cose che sapevo vagamente e divertirmi a vedere le foto del passato.
Le foto: anni fa avevo visto una scatola piatta, piena di vecchie foto, che alla morte della nonna erano passate nelle mani di zio Piero. Vi erano immagini curiose, che ritraggono molte persone a me totalmente ignote, immagini scattate da nonno con minuzia da scienziato: foto di persone malate che aveva curato in Africa, documentazione di popolazioni dei villaggi e alcune foto della guerra coloniale. Ma erano le fogge incredibili delle acconciature e degli abiti delle popolazioni dell'Africa orientale che mi intrigavano. Sono foto in bianco e nero, di uomini e donne in piedi in posa rigida ed impacciata, di fronte o di profilo: una documentazione da antropologo.
E poi c'erano le immagini dell'infanzia di mio padre e dei suoi fratelli, e anche quelle della famiglia di nonna. Mi dispiaceva che fossero spartite, che fossero proprietà di qualcuno e difficilmente fruibili dagli altri. Avevo pensato che sarebbe stato bene acquisirle allo scanner: ma che faticata! E poi cosa ci avrei fatto? le avrei tenute sul computer o incise su un CD?
Ma ecco che piano piano le foto escono dalla scatola polverosa e appaiono sullo schermo del mio elettrodomestico preferito!
Che meraviglia. Grazie a tutti.

Le guerra

Quello della guerra è stato un lungo periodo molto nero, che ha lasciato un segno indelebile in ciascuno di noi, contribuendo in maniera determinante alla formazione del nostro carattere. Quando cominciò io ero in quarta elementare, Silvio in terza, Guido in prima, Mariella forse all’asilo, Fulvio non era ancora nato.
Eravamo a La Spezia, dove papà dirigeva l’Ospedale della Marina Militare, col grado di colonnello medico. Abitavamo in una bella palazzina a fianco dell’Ospedale, al quale potevamo accedere direttamente da un cancelletto del nostro giardino. C’erano già le “tessere annonarie”, necessarie per comprare i generi di prima necessità che erano razionati, a cominciare dal pane scuro, del quale erano previsti 150 grammi a testa al giorno.
La Spezia era una importante base della Marina, per cui cominciarono presto i bombardamenti, sempre notturni. Nel cuore della notte suonava la sirena dell’allarme aereo, papà e mamma ci svegliavano subito, ci avvolgevano in una coperta e di corsa andavamo nel rifugio dell’ospedale, attraversando il cancelletto del giardino.
Il rifugio era nel sottosuolo, freddo e umido. Ci trovavamo altra gente, ci accomodavamo come meglio possibile per terra e ci passavamo ore, finchè non suonava di nuovo la sirena del cessato allarme. La maggior parte delle volte ciò avveniva alle prime luci, senza che ci fossimo accorti di un bombardamento, si era trattato di un falso allarme. Ma alcune volte sentivamo la terra tremare sotto le bombe e potevamo udire gli scoppi e il fragore dell’antiaerea, mentre papà cercava di tranquillizzarci e mamma pregava a mani giunte.
Il giorno dopo le scuole restavano chiuse, si contavano i morti sotto le macerie. l’Ospedale e la nostra casa per fortuna non vennero mai colpiti, ce la cavammo sempre soltanto con tanta paura, mezzi intirizziti dal freddo nel rifugio.
A La Spezia, dopo la quarta elementare io feci direttamente l’esame di ammissione alla scuola media e frequentai il primo anno dai Salesiani, a dieci minuti da casa. Il sabato pomeriggio dovevo andare al “sabato fascista” a fare la marcia in divisa da “balilla”. Silvio e Guido se ben ricordo erano “figli della lupa”.
Finita la prima media, dovevo avere compiuto i 10 anni e quindi eravamo alla fine del 1941 o all’inizio del ‘42, papà venne trasferito a Marina di Massa per organizzare un ospedale di guerra nelle colonie marirttime esistenti, che erano state requisite. Naturalmente ci trasferimmo anche noi, andando ad abitare in una palazzina in mezzo ad una pineta accanto all’ospedale. Ci passammo due anni o poco meno e per fortuna quella zona non venne bombardata, essendoci solo l’ospedale come insediamento militare.
Prendevamo la corriera la mattina presto e andavamo a scuola a Massa Apuania. Io feci lì la seconda media e Silvio forse la prima. Le cose riguardanti la guerra che ricordo erano il silenzio assoluto che dovevamo fare a tavola, all’una, quando c’era il “bollettino di guerra” alla radio che enunciava regolarmente i bombardamenti, le macerie, le perdite di vite umane, le battaglie in Africa o in Russia o quelle aeree e navali, le migliaia di soldati, marinai e aviatori che morivano, oltre ai civili che restavano sotto le macerie della propria casa. Un’altra cosa che mi è rimasta impressa è la quantità di soldati che arrivavano all’ospedale dalla Russia privi delle gambe, che avevano perso essendosi congelate nelle trincee.
Nel 1943, quando Fulvio era appena nato, ci colse lì l’armistizio. L’ospedale venne immediatamente occupato dai tedeschi e noi dovemmo lasciare d’urgenza la nostra casa. Per fortuna un sottufficiale di Viareggio, che era stato destinato come segretario di papà e che gli era devoto, ci trovò una casa nella sua città e, con alcuni viaggi effettuati con un furgone a tre ruote pure rimediato da quel sottufficiale, trasferimmo le masserizie in quella casa di Viareggio, in via Lepanto, di fronte alla famosa pineta orgoglio dei viareggini.
Papà non aderì alla Repubblica di Salò e naturalmente lo stipendio che, bene o male, aveva percepito fino ad allora, cessò del tutto. Per andare avanti dovette vendere l’oro, i tappeti ed altri oggetti di valore. Io feci lì la terza media che era a quaranta minuti di cammino da casa. Cominciarono i bombardamenti perchè i tedeschi avavano costituito una base militare nella città, per cui qualche volta suonava la sirena anche in pieno giorno. Dovevamo allora lasciare immediatamente la scuola e correre a piedi verso casa.
Ricordo una volta che, voltandomi indietro mentre correvo, vidi gli aerei che lasciavano andare grappoli di bombe, ben visibili: cadevano dietro di me, non so dire a che distanza, forse alcune centinaia di metri. Arrivai a casa con un gran fiatone e trovai papà e mamma molto preoccupati per noi. Il bombardamento continuò, noi restammo a casa perchè lì non c’erano rifugi, i viareggini si riversavano nella pineta per paura che fossero colpite le loro case. Papà pensava che fosse meglio stare a casa e, per non farci sentire gli scoppi delle bombe, si mise a suonare la pianola a tutto spiano, mamma come al solito pregava a mani giunte.
Ma il peggio doveva ancora arrivare. Eravamo a Viareggio da meno di un anno quando gli americani sbarcarono in Sicilia e cominciarono la lentissima liberazione dell’Italia, dando tutto il tempo ai tedeschi di organizzare al meglio la resistenza al loro avanzamento. Fu così che Viareggio fu evacuata dai tedeschi in una settimana per farne una roccaforte. Si, in una settimana tutti dovevano lasciare la loro casa e sparire altrove. La grande pineta venne rasa al suolo.
Noi eravamo in otto, con Fulvio che veniva ancora allattato da mamma. Anche in questo drammatico momento avemmo fortuna, o forse il Padre Eterno accolse le preghiere di mamma: il nostro padrone di casa ci offrì due camere e un bagno, con la cucina in comune, nella casa dove viveva con la moglie in una frazione di Camaiore, Misciano. Lo fece probabilmente perchè sapeva chi si metteva in casa, dal momento che chissà chi avrebbe per forza dovuto ospitare, visto che tutta la popolazione di Viareggio si riversava all’interno, occupando le case senza tanti complimenti. E non se ne pentì, come dirò dopo.
Il solito sottufficiale viareggino col furgone a tre ruote ci portò le masserizie in un capannone accanto alla villa del maggiore Rampolla, il nostro padrone di casa, e noi ci sistemammo in quattro per camera, con i nostri materassi per terra: i letti non sarebbero entrati. Ci rimanemmo un anno, certamente l’anno più tragico della nostra vita, mentre i “liberatori” avanzavano come lumache, bombardando e cannoneggiando per tre giorni la zona dove sarebbero poi arrivati, distante un paio di chilometri. Non c’era corrente elettrica in casa, avevamo fatto dei lumini con barattoli e stoppini parzialmente immersi nel petrolio che ci annerivano le narici. Avevamo anche il problema dei fiammiferi, difficilissimi da trovare e del sale, venduto di contrabbando a un prezzo altissimo.
Nel frattempo non si trovava più nulla o quasi nulla, negozi per lo più chiusi, farmacie sbarrate. La mattina papà, io e Silvio scendevamo in paese, a Camaiore, a vedere cosa potevamo rimediare: lunghe file per acquistare qualcosa da mangiare. Si trovava la farina di mais e quella di castagne, così mangiavamo tutti i giorni polenta e castagnaccio. Assolutamente introvabili latte, uova, carne e, per diversi mesi, anche il pane nero della guerra. Qualche rara volta riuscivamo a trovare i buzzacchiotti, pesciolini d’acqua dolce lunghi un centimetro circa che venivano dal vicino lago di Massaciuccoli. Non si vedevano in giro i gatti, andavano a ruba .... ma noi non li mangiammo mai.
Mamma cucinava su un fornello a carbone improvvisato da me con una grossa latta, ma il carbone non si trovava. Lo facevamo io Silvio e Guido, avendo imparato da qualcun altro ragazzo come si faceva una piccola carbonaia. Andavamo a far legna nei boschi, preparavamo la carbonaia, un largo cono alto circa un metro, le davamo fuoco e la ricoprivamo di zolle lasciando un’apertura sulla sommità, da cui continuava ad uscire il fumo per un paio di giorni. Il carbone bastava a mamma per una settimana.
L’inverno fu freddissimo e la casa non era riscaldata. Le nostre scarpe erano consumate, facevano acqua, e noi ci camminavamo tutti i giorni quando scendevamo in paese, qualche volta anche nella neve. Mamma si ammalò gravemente di bronco-pleuro-polmonite e papà non sapeva come curarla, gli unici farmaci che riuscì a trovare da un altro medico furono i sulfamidici. Il fatto che non ci lasciò credo proprio che sia stato un qualcosa di molto vicino ad un miracolo. Quando si rimise in piedi dopo mesi pesava una quarantina di chili.
Intanto i tedeschi si impossessavano di tutto ciò che poteva servire loro, bestiame, automobili, perfino biciclette, e sequestravano gli uomini validi da deportare in Germania come mano d’opera coatta per le fabbriche di armi. Un giorno ne arrivarono due a casa, cercando uomini validi. Papà si salvò perchè era un medico che i tedeschi non deportavano perchè sarebbero serviti in caso di epidemie. Il maggiore Rampolla se la cavò suscitando pietà, dicendo loro con le lacrime agli occhi che noi eravamo tutti figli suoi! Con ogni probabilità gli salvammo la vita.
Gli uomini si davano così alla macchia per non essere deportati, e cominciarono anche ad ammazzare qualche tedesco, sempre alle spalle, a tradimento. Erano i partigiani, diventati poi eroi della resistenza, che causarono un mare di morti tra la popolazione, perchè per ogni tedesco ucciso venivano sequestrati 10 italiani e immediatamente passati per le armi. Un piccolo paese al di là di un monte rispetto a dove eravamo noi, Sant’Anna, venne dato alle fiamme per questi motivi. Bruciò per giorni e giorni, noi vedevamo il fumo che si innalzava al di là del monte. E vi fu un eccidio. Eravamo nell’agosto del 1944.
Intanto il fronte si avvicinava e si intensificavano i bombardamenti. Una mattina Silvio era sceso in paese prima per fare una fila con la tessera annonaria in uno dei rari negozi aperti che fornivano i pochi generi alimentari disponibili, non ricordo in particolare cosa doveva comprare. Poco dopo, forse mezz’ora dopo, mi avviai anch’io lungo la strada polverosa lunga un paio di chilometri che portava in paese.
Ero giunto a metà quando fecero la comparsa due aerei a bassa quota che si misero a girare sul paese per qualche minuto. Si allontanarono quindi verso i monti sollevandosi, ma tornarono subito in picchiata sul paese sganciando due bombe a testa, che vidi distintamente mentre cadevano. Mi buttai a terra e la sentii tremare mentre mi tenevo le dita premute sulle orecchie.
Mi rialzai e mi avviai di corsa verso casa, quando vidi papà che mi veniva incontro. Naturalmente era preoccupato per noi due. Mi unii a lui per andare incontro a Silvio e, poco prima di giungere in paese, vedemmo un ragazzino tutto impolverato che veniva di corsa verso di noi. Era lui, lo riconoscemmo a stento quando si avvicinò. Ci disse che, quando aveva visto girare i due aerei mentre faceva la fila per strada, tutti si erano precipitati dentro il negozio, trascinando anche lui.
Poco dopo il negozio era crollato sotto una di quelle bombe e lui si era ritrovato sotto le macerie, salvato da un qualcosa, forse un armadio, che lo aveva protetto, tossendo disperatamente per la polvere. Riuscì miracolosamente a venir fuori aprendosi un varco verso una luce che vedeva tra le macerie, e si diresse verso casa. Aveva solo qualche piccola ferita con il sangue che gli colava sulla faccia.
Tornammo a casa e poco dopo arrivò anche Guido che era andato a un mulino a cercare la farina di mais o di castagne. Eravamo tutti a casa sani e salvi, mamma ringraziava con le lacrime agli occhi la Santa Bambina a cui è sempre stata devota, convinta che era stata lei a proteggerci. Passò ancora qualche settimana e, dopo essere stati tappati in casa per tre giorni di continuo cannoneggiamento da parte degli americani che si spianavano la strada prima di avanzare di un paio di chilometri, finalmente i “liberatori” entrarono in paese con i carri armati.
I dodici tedeschi che presidiavano il paese ebbero però tutto il tempo per trasferirsi sulla montagna vicina portandosi un mortaio con il quale tutti i giorni per un mese alle 12 in punto facevano arrivare un proiettile che esplodeva nella piazza al centro del paese. Quando finalmente andarono a snidarli li trovarono stremati, affamati, senza più munizioni.
Gli americani ci fecero rivedere dopo più di tre anni il pane bianco, già affettato, le barrette di cioccolato, le scarpe di cui avevamo estremo bisogno. Passò ancora qualche settimana prima che papà si incamminasse a piedi verso Roma, sperando di trovare qualche passaggio. Tornò un mesetto dopo con una macchina e un autista che la Marina gli aveva messo a disposizione per portare con due viaggi la famiglia a Roma, dove fummo ospitati per qualche settimana a casa dei Modugno, parenti di papà da parte della nonna che era una Modugno.
Intanto papà tornò con un camion della Marina a Misciano di Camaiore a prendere i mobili, il pianoforte e il resto, che per un anno erano rimasti nel capannone, dove tra l’altro scoprì di aver subito un furto. Di quel viaggio ricordo gli impressionanti cumuli di macerie attraverso i quali passavamo quando attraversavamo i paesi e le città. Ricordo in particolare Civitavecchia, sembrava che non ci fosse più una casa in piedi.
Arrivati finalmente a Polignano, trovammo la casa paterna occupata dagli americani, che vi avevano fatto il loro quartier generale. Così dovemmo sparpagliarci tra le case dei parenti, che fortunatamente a quei tempi erano tanti e che ci ospitarono per qualche mese, finchè gli americani si decisero a liberarci la casa.
Il dopoguerra fu pure molto duro, con mamma che si alzava alle cinque per prepararci la colazione accendendo il fuoco con i carboni e farci uscire di casa in tempo per prendere il treno, composto da vagoni merci, che per me partiva alle sei e venti e arrivava a Bari alle sette e mezzo, in modo che alle otto potevo entrare in aula al liceo.
E’ inutile che faccia considerazioni per voi giovani, i fatti si commentano da soli, ognuno potrà trarre le sue conclusioni e capire perchè siamo così diversi da chi non ha vissuto quelle esperienze per i cinque anni forse più formativi di un ragazzo, almeno per quanto riguarda Guido, Silvio e me. Un rovescio della medaglia c’è: dopo averle superate, anche se molto per fortuna, non ci spaventano i guai che immancabilmente arrivano nella vita, siamo pronti a tutto!
Giancarlo

lunedì 27 ottobre 2008

Matrimonio Ninì - Teresa 1954


Questa foto è stata scatta al matrimonio del cugino Ninì Basile a Cisternino nel 1954. Da notare l'espressione di Silvio, che guarda Fulvio in maniera accigliata, poichè lo stesso Fulvio lo aveva appena sfottuto.
Fulvio

sabato 25 ottobre 2008

favoloso!!

Grande sorpresa su questo schermo! Ero al telefono con papà (il mio, detto altrimenti zio Silvio) e gli parlavo del messaggio di zio Giancarlo di ieri sera. Decidiamo di dare una lettura (ognuno a casa su, con internet si può) e cosa ti vedo? La foto di nonno.
Fantastico, ci voleva lo zio 'ragazzino' per superare la diffidenza verso i media?
Ora si che la cosa si fa intrigante...
Belli gli zii marinari, come san Nicola nella canzoncina che mia sorella sentiva al mangiadischi. Ricordate?
Allegre marenare sante Nicola va per mare, allegre pellegrine sante Nicola và a partì....
un bacio a tutti!
Eva

Vito Cosimo


Un'immagine del Nonno (o Papà, per noi) probabilmente di fine anni '30.
Fulvio

Fratelli a bordo di Nave Albatros, 1965


Giancarlo, Piero e Fulvio a bordo di Nave Albatros al largo di Livorno nel 1965, quando Piero e Fulvio erano allievi dell'Accademia e Giancarlo era Tenente di Vascello, Comandante di Nave Albatros (per l'appunto).
La foto è ripresa dal notiziario della Marina, che all'epoca diede risalto al fatto che 3 fratelli si ritrovavano contemporaneamente in Marina. Che cos'è la celebrità!
p.s.: ormai anche via Siponto 4 padroneggia l'uso delle tecnologie più avanzate! la sfida è aperta a via privata Borrelli e a Casal Palocco!
Fulvio

venerdì 24 ottobre 2008

Messaggio da zio Giancarlo

Ricevo e socializzo subito la bella proposta che mi è arrivata per email:

... ho in programma di scrivere qualcosa per ricordare ai fratelli e sorella le nostre incredibili peripezie e i grandi rischi corsi ai tempi della guerra, e per renderne edotti voi che per vostra fortuna siete venuti al mondo quando la furia della tempesta era passata da un pezzo. Di foto dell'epoca io non ne ho. Forse qualcuno (Mariella?) conserva una foto di mamma ridotta proprio al lumicino.
La mia idea è che, anche se fu certamente un lungo e tristissimo periodo che non può suscitare allegria, ricordarlo non farà male sia a noi vecchi che a voi giovani. Se siamo sopravvissuti allora noi siamo pronti a tutto, le crisi di oggi ci fanno sorridere ....... e voi, zio Fulvio compreso che non può ricordare nulla, potrete trarne qualche lezione e incoraggiamento per superarle senza eccessive preoccupazioni.
Mi ci vorrà un po' di tempo per riordinare le idee e sintetizzare i fatti salienti senza scrivere un romanzo.
Cosa ne pensate?
Il tuo più vecchio zione

Credo che sia un'idea più che doverosa, ultimamente ho saputo che i bambini possono essere affidati all'asilo nido già all'età di tre mesi, non dico anni: mesi!
E chi gli racconta il mondo a questi poveri sciagurati? La maestra? Come fanno a sviluppare l'amore per i propri genitori, per chi è venuto prima, per gli antenati? Sono stata in Ghana, ho visto come la gente rispetta e onora chi li ha preceduti, come ogni persona è consapevole del fatto che senza 'quelli venuti prima' non ci sarebbe nulla.
Conoscere le vicende di coloro che ci hanno preceduti ci aiuta a capirli, e a capire noi stessi.

Ed ora arrivano i più piccoli ancora!

Il solito zio Piero mi manda una bella foto di gruppo: la nonna nel giorno del suo novantaduesimo compleanno, il 7 novembre 1992 circondata dai più piccoli dei suoi nipoti: Massimo e poi Sara ed Ester, e alla destra di nonna (per noi che guardiamo) Francesco - che lei amava chiamare Cicilluzzo, con sommo orrore di zia Mariella e di noialtri tutti- e infine Marco, il più grande fra loro, seduto sul bracciolo del divano.
A quando una foto di noialtre nipoti grandi? E i tanti personaggi che meriterebbero un ricordo? Pensate: zia Pia, zia Marietta...

domenica 19 ottobre 2008

Ed ecco arrivano i piccoli

Qualcuno lamentava la mancanza dei fratelli minori... eccoli che arrivano, iniziando da zio Piero, bellissimo bambino dai riccioli d'oro.
Come era uso (di nonno) i fratellini sono in fila, dal più grande al piccolino. Il solito Silvio è il più zuzzerellone e qui finalmente ride allegro anche l'ombroso Guido

venerdì 17 ottobre 2008

estate 1990 - ancora un gruppo di famiglia

Questa foto ritrae la nonna con tutti i figli. La didascalia dice "Polignano 1990", e il luogo in cui è stata scattata mi sembra essere la terrazza della casa che la nonna fece costruire alle Vigne, quella in cui trascorreva l'estate. Potrei sbagliare, ma certo ricordo perfettamente la nonna così abbigliata, con quei suoi incredibili capelli nerissimi. Aveva novant'anni e appena un ciuffo di capelli grigi..

mercoledì 15 ottobre 2008

Natale 1954 - tutta la famiglia riunita!

Finalmente una foto in cui ci sono tutti! La manda zio Piero.
Notare il bel Guido sulla sinistra. I nonni e poi Silvio, sorridente e gioioso come nelle foto da bambino. Piero ragazzone e Giancarlo, con camicia a quadri all'americana.
I piccoli seduti in terra: Mariella e Fulvio, quest'ultimo davvero ragazzino!

venerdì 10 ottobre 2008

quarantennale della crociera-regata atlantica della Stella Polare


Il 22 Settembre scorso si è svolto a Livorno un raduno dell’equipaggio della Stella Polare che nel 1968 era imbarcato sull’unità per la seconda campagna d’istruzione, nel corso della quale si svolse una regata transatlantica da Bermuda a Travemunde (Germania). La regata, durata tre settimane su un percorso di quasi 4.000 miglia passante a nord delle Isole Orcadi fu vinta dalla piccola nave scuola, nella classe delle imbarcazioni maggiori, suscitando grande entusiasmo in patria.
Non c’è nulla di meglio di un articolo di Beppe Croce, allora Presidente della Federazione Italiana Vela, apparso su Vela e Motore dell’Ottobre 1968, per ricordare come si svolse la regata e le impressioni che suscitò in Italia. Eccone un estratto:
“Sono stato a Travemunde all’arrivo della Regata Transatlantica per stringere la mano al Comandante Basile ed alla sua gente, vittoriosi con Stella Polare nella classe A della regata: parliamo quindi di loro, perchè è la prima volta che una barca italiana vince una regata attraverso l’Atlantico, offrendo al paese e alla Marina Militare un’affermazione clamorosa.
Le Istruzioni di Regata mi sembrano, nella loro aridità e semplicità, quasi commuoventi: Il percorso passerà a sud-est di un punto, chiamato Punto A, allo scopo di mantenere i concorrenti sicuri dal limite meridionale dei ghiacci. Si dovranno lasciare a dritta l’Irlanda, le Isole Ebridi, l’estrema punta Nord delle Isole Orcadi e la nave faro dello Skagen. Le barche erano suddivise in quattro classi, con un totale di 33 partenti.
Particolarmente facile per le condizioni del vento e del mare, se si escludono alcuni giorni nella nebbia più assoluta, tra numerosi branchi di grandi balene che migravano verso sud-ovest, la regata non è stata molto veloce. Ma se si pensa che meno di sei ore separavano, in tempo reale, il primo e l’ultimo degli yacht della classe A, si avrà chiara l’impressione della durezza della lotta, condotta ininterrottamente per tre settimane, senza un attimo di respiro.
Stella Polare, opposta ai più noti “mostri” dell’altomare, quali Ondine, Stormvogel, Kialoa II e Germania VI, ha corso la sua regata-capolavoro, sotto la sagace guida di Giancarlo Basile. Distanziata nelle prime mille miglia della traversata da una persistente bonaccia, senza possibilità fondate di recupero, sfruttava abilmente la profonda preparazione tecnica del suo equipaggio, puntava decisamente più a nord, si avvantaggiava prima e meglio degli avversari di un bel vento di nord-ovest e arrivava al traguardo alle spalle dei “puro sangue”, tranquilla sul risultato per le varie ore che tutti gli avversari dovevano pagarle, ottenendo la vittoria a pugni bassi e precedendo, in tempo corretto, Germania VI di circa 7 ore, Kialoa di circa 16 ore, Ondine di 23 ore e Stormvogel di ben 24 ore.
Ho avuto il piacere – e l’onore – di essere il primo italiano accolto a bordo della Stella Polare dopo il suo arrivo a Travemunde ed è stato in realtà molto commuovente per me, pur abituato da anni a questo genere di cose, vedere l’unica barca italiana concorrente impavesata per la grande vittoria, centro dell’attenzione di un enorme pubblico di appassionati, attrazione numero uno di un paese che conosce e capisce i pericoli e le difficoltà del mare e sa compiutamente apprezzare una impresa di grandissima portata internazionale.
I ricordi si affollano alla mia mente: ma non posso, soprattutto, dimenticare la modestia e la semplicità di quei quindici giovani italiani, reduci dall’aver sconfitto, in una delle regate più significative, il fior fiore dell’altomare americano, olandese e tedesco, eppur così schivi da ogni teatralità, da ogni gesto banale di primadonnismo, oggi purtroppo tanto di moda.
Stella Polare, si sa, non è nata per vincere le regate: è una nave scuola creata per formare dei marinai e dei caratteri, non per battere dei record o per competere contro le “racing machines” che uno sfruttamento abnorme dei regolamenti sta oggi producendo nel mondo. Eppure Stella Polare, sfruttando al massimo la preparazione professionale del suo equipaggio, non lasciando nulla al caso, ma vagliando freddamente e serenamente – come è costume della nostra Marina – le situazioni e le probabilità, ha saputo donare all’Italia, a tutti noi che sul mare e per il mare viviamo, una delle vittorie che ci esaltano di più.”
L’uscita in mare della Stella Polare da Livorno con l’equipaggio dell’epoca ha avuto un momento culminante: il lancio di una corona di fiori a mare per commemorare l’ammiraglio Mario Tumiati, allora Guardiamarina e Ufficiale di Rotta dell’unità, deceduto lo scorso Aprile. A bordo era presente la moglie Francesca.
Giancarlo Basile

lunedì 6 ottobre 2008

foto anni '70

Ero dai miei ieri ed ho cercato febbrilmente fra i vecchi album di fotografie qualche bello scatto. Ma la delusione mi ha assalita: le kodak degli anni '70 sono tutte gialle, impastate, non ci si vede più un accidente! C'è una serie di foto di gruppo con tutte le cugine e Francesco in versione fatty boy, semovente (e quanto semovente) ma piccolo piccolo. Facciamo tutti le boccacce, ma ci si riconosce appena. Eravamo a casa di zio Guido, anche lui presente in una delle foto. Che rabbia!
Le foto in bianco e nero hanno resistito meglio il trascorrere del tempo.
Eva

ancora per mare ... messaggio da zio Fulvio

«Carissima Eva, sei fantastica! Il blog mi riporta indietro alle origini e ci fa sentire uniti. Hai avuto un'idea meravigliosa e te ne sono grato insieme ai fratelli.Ho parecchio materiale fotografico che merita di apparire sul blog.Per il momento ti invio due foto: una con gli zii Giancarlo, Piero e Fulvio dell'estate 1997 su nave Grado della quale ero il Comandante; l'altra si riferisce ad una riunione di famiglia a Polignano nel 1990.
Ciao, grullona! un abbraccio da zio Fulvio»

Vedo con piacere che la scuola navale di Livorno ha insegnato allo zione un po' di sano spirito toscano.
Eccoli ancora per mare, questa volta in tre. Anno domini 1986, erano quasi dei ragazzi...

domenica 5 ottobre 2008

Nonna Ida e Paola

Mi sono accorto dalla foto pubblicata più in basso che si rassomigliano molto. Strano che non l'avevo mai notato prima.
Silvio

venerdì 3 ottobre 2008

I fratelli nel 2008


Chissà perché i discendenti diretti di nonna Ida e nonno Vito Cosimo vengono comunemente chiamati 'i fratelli', come se fra loro non ci fosse una splendida sorella...??
Eccoli nella foto più recente che li ritrae assieme, con zio Matteo. I vecchiardi, come è uso, stan seduti, i 'ragazzi' in piedi. La foto la manda zio Piero, (qui al centro con la sua bella cravatta rossa), il vero archivista di famiglia: prodigo di immagini e di pensieri affettuosi, ma non di parole.