Mio nonno era quel tipo di persona che definiresti un
signore distinto: giacca, cravatta, e il giornale sotto braccio. La sua cifra
distintiva erano la barba a punta e il berretto. Elegantissimo in estate con un
panama e la camicia a maniche corte, mio nonno era una persona che definiresti
distinta, ma capacissimo di sostituire coppola e cravatta con capi più estrosi,
perché – diciamocelo – se ne fregava ampiamente di quel che chicchessia avrebbe
potuto pensare.
Mio nonno - mi dicono - era una persona un po’ malinconica,
ma io non me ne ero mai accorta. Forse con noi nipoti questo lato non è mai
emerso? voglio credere che forse stare con noi fosse per lui una tale gioia da
spazzare via per un po’ questa malinconia.
Mio nonno amava la musica. Purtroppo io ho imparato a
suonare il pianoforte con una mano sola, ci abbiamo provato, ma non avevo
orecchio. Io neppure riesco a battere le mani a tempo, lui invece sapeva
suonare e comporre. L’unico tratto che rimarrà comune alle nostre mani è il
dito indice storto, non saprò mai replicare i suoi gesti sui tasti. Ma ogni
volta che sento della musica classica mi sembra quasi di vederlo al pianoforte
in salotto, con la luce di taglio che entra dalla finestra, seduto che suona.
Mio nonno era una persona buffa. Aveva quel tipo di ironia
intelligente che solo da grandi si può apprezzare davvero… ma se sei solo una
bambina nessuna paura! Ti avrebbe comunque fatta ridere a crepapelle facendo
finta di mangiarti o di rubarti il naso! (e lui di nasi ne sapeva parecchio!).
Mio nonno sapeva fare il terremoto, cantava “chi è che bussa”, raccontava di
“Dante lo scureggiante” e di “Eschilo eschiolo che qui si sofocle, attento agli
scalini che sono euripide”.
Mio nonno era la persona più intelligente che io abbia mai
conosciuto. Mi ha raccontato che poteva scrivere un testo con entrambe le mani,
contemporaneamente (utilissimo se a scuola dovevi far copiare i compagni
passando una seconda copia del compito).
Mio nonno sapeva tutto di Dante e Beatrice, di Pirandello,
dei miti dell’antica Grecia. Mio nonno mi ha regalato il mondo della
letteratura anno dopo anno. Mi ha aperto le porte della “Terra di mezzo”, mi ha
fatto conoscere personaggi di cui mi sono perdutamente innamorata - ah Martin
Eden! - mi ha spalancato la mente Natale dopo Natale con libri che mi hanno
accompagnato dall’adolescenza ad oggi.
Mio nonno era un professore. Da universitaria è stato il mio
più grande orgoglio. Non era da tutti poter dire di avere uno nonno “Professore”.
Mio nonno era un’idealista. Una di quelle rare persone che si interessa della
cosa pubblica con la sincera speranza di rendere il mondo un posto migliore
per
tutti.
Mio nonno era la persona più generosa e buona che esistesse.
Credo per lui fosse impossibile arrabbiarsi o litigare.
Mio nonno mi ha insegnato la forza della gentilezza. La
potevi sentire nelle sue carezze, nelle sue parole, nel suo modo di stare nel
mondo. La forza della gentilezza è di piuma e di granito, è ferma e nobile.
Mio nonno per me era un “Opa”. Tutte le cose dette fin qui,
infatti, sono niente rispetto al più grande insegnamento che mi ha dato.
Nessuna delle sue bellissime qualità vale quanto la sua innata capacità di
amare. Vederli insieme ti faceva dire: “è questo che io voglio per me!”.
Complicità e scaramucce, cura reciproca e affetto infinito. Serve ironia e
pazienza. Tenerezza. Delicatezza. Non si è semplicemente anime gemelle, ci vogliono
impegno e tanti piccoli gesti. Anche negli ultimi anni vederlo prendersi cura
di Oma, regalarle una rosa per san Valentino, prendersi cura di lei anche
quando ormai la sua memoria era sempre più fragile è stata l’incredibile prova
tangibile che l’amore vero, eterno, esiste. Io credo all’amore e alla
gentilezza perché ho conosciuto lui. Se non avessi visto come si amavano, come
si è preso cura di sua moglie finché ha potuto, non ci avrei mai creduto che ci
si può amare per sempre.

Opa mi ha insegnato che l’Amore non fa rumore, ma è delicato
e forte come la gentilezza.
Quando se ne va una persona amata il cuore si riempie di
rimpianto: avrei potuto fare di più, passare più tempo insieme... In questo
giorno in cui mi lasci, in cui ci lasci, ho quindi ripensato a Dante. Anche
andandotene sei per me insegnante, tu vai avanti e io ti seguo. Spero di poterti
somigliare di più, di potermi stupire sempre davanti alla bellezza e alla
cultura come te, di poter essere forte e gentile come te. Di amare come te. Ti
penso così, come se tu fossi uscito a riveder le stelle.
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a
riveder le stelle.
(Inferno – Canto
34)